Prima casa, residenza con paletti stretti
Il requisito della residenza nel Comune in cui è ubicato l'immobile va riferito alla famiglia, con la conseguenza che, in caso di comunione legale tra coniugi, quel che rileva è che l'immobile acquistato sia destinato a residenza familiare.
Questo il principio che la Corte di Cassazione ha evidenziato in un caso posto alla sua attenzione di verifica fiscale sui requisiti prima casa. Per la Corte però questo principio non è un automatismo anche in regime di comunione dei beni tra coniugi e vediamo perché.
Il caso
L’Agenzia delle Entrate conduce controlli nei casi di acquisti prima casa con agevolazioni fiscali (imposta di registro agevolata e Iva con aliquota bassa) per verificare che siano rispettate le condizioni per usufruire di questi sconti fiscali. In particolare, è necessario che i proprietari dell’immobile trasferiscano la residenza entro i 18 mesi previsti dalla legge.
A seguito di un controllo, l’Agenzia contesta a una famiglia il mancato rispetto di questo requisito e richiede gli importi agevolati con sanzioni e interessi. La famiglia in questione aveva proceduto alla seguente compravendita: due coniugi (titolari del diritto di abitazione, ciascuno per il 50% indiviso), unitamente ai due figli (titolari della nuda proprietà, ancora ciascuno per il 50% indiviso) avevano acquistato un immobile a uso abitativo. Solo uno dei due coniugi aveva trasferito la residenza. L’Agenzia contestava l’irregolarità della procedura e, di conseguenza, i due coniugi hanno presentato ricorso contro l'avviso di liquidazione e irrogazione sanzioni loro notificato, con cui l'ufficio delle Entrate recuperava a tassazione il maggior importo per Iva all'aliquota del 10%, oltre agli accessori.
Il punto contestato
L’atto impositivo è stato emesso per aver rilevato il mancato trasferimento della residenza nel comune ove era ubicato l’immobile, da parte di uno dei coniugi, entro i 18 mesi dal rogito, con la conseguente decadenza dai benefici “prima casa” (n. 21, Tabella A, parte seconda, allegata al Dpr n. 633/72). In questo caso, coloro che avevano provveduto a trasferire la residenza sono stati considerati responsabili in solido (tutti assieme).
In primo grado la commissione tributaria provinciale ha escluso la responsabilità per la parte della famiglia (un coniuge e i due figli) che ha trasferito la residenza. Per loro si doveva mantenere il beneficio; non la stessa cosa poteva dirsi per l’altro coniuge che non aveva provveduto al trasferimento. I giudici di secondo grado a loro volta hanno confermato la scelta del primo giudice nei confronti del coniuge che non si era trasferito.
La questione è arrivata fino alla cassazione. Per i ricorrenti - come riporta FiscoOggi, la rivista dell’Agenzia delle Entrate - “l'acquisto dell'immobile era avvenuto in regime di comunione ordinaria sia quanto al diritto di abitazione (50% indiviso tra i coniugi) sia quanto al diritto di nuda proprietà (50% indiviso tra i figli). In quelle condizioni, tenuto conto della particolare funzione del diritto reale parziario in discorso, spiegano da Fisco Oggi, “diventa trascurabile che tra i coniugi fosse vigente il regime della separazione patrimoniale dei beni poiché gli effetti dell'acquisto di quel cespite immobiliare si sono estesi a tutti i componenti, per l’appunto, della famiglia”.
Pertanto, il concetto di residenza deve poter coincidere, nel caso in discussione, con quello più esteso di famiglia.
La decisione della cassazione
La Cassazione, con l’ordinanza n. 3123 del 2 febbraio scorso, ha dato torto alla famiglia e ragione al fisco. Per i giudici “in tema di imposta di registro e dei relativi benefici per l'acquisto della prima casa, ai fini della fruizione degli stessi, il requisito della residenza nel Comune in cui è ubicato l'immobile va riferito alla famiglia, con la conseguenza che, in caso di comunione legale tra coniugi, quel che rileva è che l'immobile acquistato sia destinato a residenza familiare, mentre non assume rilievo in contrario la circostanza che uno dei coniugi non abbia la residenza anagrafica in tale Comune, e ciò in ogni ipotesi in cui il bene sia divenuto oggetto della comunione ai sensi dell'art. 177 c.c., quindi sia in caso di acquisto separato che in caso di acquisto congiunto del bene stesso”.
Per i ricorrenti, in pratica, l’acquisizione del diritto da parte della moglie (soggetto che ha trasferito la residenza) accomuna la fattispecie a quella dell’acquisto in comunione legale in quanto, sebbene in separazione di beni, nella sostanza si sarebbe determinata una destinazione univoca e complessiva della destinazione dell'abitazione a residenza familiare (completata dall'acquisto del diritto di usufrutto da parte dei figli). La cassazione contesta questo punto di vista e considera l'acquisto del diritto in una prerogativa per così dire “egoistica” (o “individualistica”) in capo a ciascuno dei coniugi, e i bisogni della famiglia non sono riferiti al diritto del nucleo familiare in quanto tale, quindi il trasferimento di residenza doveva avvenire per tutti e non per uno solo come se si fossero trasferiti tutti.
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