Cosa fare se il mio mutuo è con una banca inglese
4 apr 2019 | 3 min di lettura | Pubblicato da Valerio S.
Mentre la May cerca un accordo, i consumatori fremono
Cosa succede a chi ha stipulato un mutuo con una banca inglese in caso di “Hard Brexit”? La risposta più immediata potrebbe essere: sostanzialmente nulla, almeno nella maggioranza dei casi. In attesa che il quadro internazionale si componga a livello politico, dando forma alle modalità di recesso del Regno Unito dall’Unione europea, il governo italiano è corso ai ripari e ha approvato precauzionalmente una serie di misure urgenti volte a garantire la continuità e la stabilità dei mercati finanziari nell’ipotesi di “no deal”.
Lo scorso 25 marzo è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto-legge n. 22/2019, che regolamenta vari ambiti della società e del sistema economico per assicurare una gestione “ordinata” delle conseguenze della Brexit: dall’immigrazione alla previdenza, dalle telecomunicazioni alle banche. Le norme avranno effetto a partire dalla data di recesso del Regno Unito, inizialmente prevista per il 29 marzo 2019 e poi posticipata al 12 aprile 2019 (anche se gli ultimi sviluppi sembrano prospettare un ulteriore rinvio della deadline).
Proprio sul fronte finanziario il decreto ha concesso agli istituti di credito che hanno sede nel Regno Unito e detengono una succursale in Italia la possibilità di continuare a operare normalmente nel nostro paese, per un periodo ponte di 18 mesi. Ciò a patto di trasmettere una specifica comunicazione alla Banca d’Italia entro tre giorni lavorativi dalla data di recesso.
Ciò significa che i clienti di tali banche, inclusi i mutuatari, dovranno continuare a pagare le rate secondo il piano concordato, senza particolari differenze rispetto al passato. Durante i 18 mesi ponte queste banche potranno anche stipulare nuovi contratti, pertanto anche concedere nuovi mutui, e nel frattempo completare le procedure richieste da Bankitalia per il riconoscimento definitivo
Diversa la situazione nel caso delle banche del Regno Unito che, alla data di recesso, sono attive in Italia in regime di libera prestazione di servizi. In questo caso l’attività di raccolta del risparmio dovrà cessare alla data della Brexit. Per evitare effetti “traumatici”, il decreto ha stabilito che durante il periodo transitorio le attività nei confronti della clientela retail potranno proseguire «limitatamente a quanto necessario alla gestione dei rapporti instaurati precedentemente alla data di recesso e senza la possibilità di concludere nuovi contratti, né di rinnovare anche tacitamente quelli esistenti».
Nessuno shock nemmeno per le banche italiane che alla data del recesso operano nel Regno Unito. Anche in questi casi si applicherà il regime transitorio, durante il quale gli intermediari potranno formalizzare presso le competenti autorità inglesi le procedure per ottenere la licenza piena allo svolgimento delle attività bancarie e finanziarie.
Va precisato in ogni caso che, proprio in vista della Brexit e senza attendere la conclusione della trattativa tra il governo di Londra e l’UE, nell’ultimo biennio diverse banche, società di investimento e gruppi assicurativi con sede nel Regno Unito hanno già provveduto a riorganizzare la propria struttura societaria, anche attraverso il trasferimento della sede in altri paesi (in particolar modo in Irlanda).
In questi casi gli effetti post-Brexit per i clienti italiani dovrebbero essere ancora minori, in quanto già “metabolizzati” e adeguatamente comunicati. Per qualsiasi dubbio, comunque, la cosa migliore da fare è quella di prendere contatto con la filiale di riferimento o con il servizio clienti dell’istituto.
4 April 2019 di Valerio Stroppa
Cristina Bartelli
22/11/2024, 13:51:18
patrizia cozzani
22/11/2024, 13:51:17
Cristina Bartelli
22/11/2024, 13:47:29
Marco
22/11/2024, 13:47:22
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