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Mutui a rischio bolla… o no?

1 apr 2015 | 4 min di lettura | Pubblicato da

L’attuale congiuntura economica e finanziaria sta generando un paradosso che merita una certa riflessione, almeno da parte di chi ha il potere di influire su queste cose. Sì, perché il rischio è che le decisioni prese dalle autorità, e in particolare dalle banche centrali, possano causare una nuova crisi, che non avrebbe nulla da invidiare a quella dei mutui “subprime” americani, il cui strascico ancora si fa sentire in tutto il mondo, e in Europa in particolare.

Quel che successe in America ormai oltre sette anni fa fu, in sostanza, che un gran numero di strumenti finanziari garantiti da mutui “rischiosi”, ad un certo punto si rivelò carta straccia – causando fallimenti a catena di varie istituzioni finanziarie - a causa, appunto, dell’insostenibilità dei mutui che erano alla loro base. A provocare ciò fu, da un lato, l’eccessivo entusiasmo con cui questi mutui erano inseriti negli strumenti finanziari per aumentarne i rendimenti (cosa possibile solo in presenza di rischi elevatissimi che poi si rivelarono, purtroppo, fondati); dall’altro, ancor più a monte, il fatto che esistesse un gran numero di mutui dall’elevato rischio di insolvenza. E questo perché tali mutui erano concessi sulla base di criteri molto poco stringenti in termini di garanzie richieste.

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Insomma, negli Stati Uniti ci si era comportati per lungo tempo al contrario di come avviene da noi, concedendo finanziamenti e crediti a chiunque, anche a fronte di garanzie minime. Comportamento, questo, che dopo l’esplosione della bolla del 2008 è stato corretto con l’introduzione di nuovi criteri di concessione dei mutui, che prevedono tra l’altro la garanzia da parte del mutuatario di poter provvedere a una grossa percentuale del pagamento del valore dell’immobile personalmente, e in contanti.

Cosa sta accadendo in Europa ora, invece? Sull’altra sponda dell’Atlantico accade che, ormai da anni, i tassi di interesse delle banche centrali siano rasenti lo zero, così come gli altri trassi di riferimento utilizzati per il calcolo dei mutui, sia fissi che variabili. Non solo infatti il costo del denaro fissato dalla Banca Centrale Europea è allo 0,05%, ma ci sono altre banche centrali europee al di fuori dell’Unione che hanno fissato addirittura tassi negativi: la Svizzera e la Danimarca a -0,75%, la Svezia a -0,25%.

Questo significa da un lato che la tanto agognata ripresa economica è tutt’altro che in atto, perché altrimenti non ci sarebbe bisogno di tassi tanto bassi per immettere liquidità nel sistema e incentivare i consumi. Dall’altro, nello specifico, significa che in teoria si potrebbero addirittura concedere finanziamenti, e in particolare mutui, a tassi negativi. Il che certamente incentiverebbe la spesa, ma sarebbe una situazione sostenibile?

Il copione si replica anche in Italia dove, oltre al tasso Bce, bisogna tenere d’occhio il tasso a cui sono legati i mutui a tasso fisso (l’Irs) e variabile (l’Euribor), che sono scesi l’uno al di sotto dell’1%, l’altro a cavallo dello 0. Il che rende conveniente sia la stipula di nuovi mutui, sia la surroga di quelli vecchi (donde il boom registrato dagli ultimi dati).

Ma ora la domanda è: vorranno le banche assecondare questa tendenza e concedere mutui legati all’effettivo andamento dei tassi (rischiando così una nuova bolla dei mutui), o faranno qualcosa per correre ai ripari?

A quanto pare, per adesso, la risposta è la seconda. Da un lato infatti, a livello internazionale, il Comitato di Basilea starebbe studiando un inasprimento delle condizioni generali per la concessione di finanziamenti di entità superiore al 50-60% del valore della casa da acquistare, oltre che l’introduzione di una giusta proporzione tra rata del mutuo e reddito percepito dal mutuatario, per garantire la solvibilità.

Già da ora, comunque, in Italia alcune banche (come Unicredit, Deutsche Bank, Banca Popolare di Vicenza) stanno adottando tassi “floor”, ovvero dei limiti minimi al di sotto dei quali non sono disposte a far scendere il costo dei propri finanziamenti, anche nel caso in cui i tassi internazionali dovessero andare in un’altra direzione.

Insomma, le banche non sono disposte a farsi esplodere in una bolla. E forse, in questo caso, hanno pienamente ragione.

1 April 2015 di Floriana Liuni

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