Crisi greca e mutui italiani
Inevitabile, in questi giorni, parlare di Grexit; con la vittoria del “no” al referendum di Atene sull’accettazione o meno del piano proposto dall’Europa per sanare i conti pubblici del Paese ellenico, la percezione è che il ritorno alla dracma, o comunque l’abbandono dell’Europa da parte della nazione guidata da Tsipras, possa farsi più vicino.
Personalmente non riteniamo probabile uno scenario di questo tipo, che sarebbe fortemente svantaggioso per la Grecia stessa, oltre che destabilizzante per gli equilibri mondiali (e, per questa ragione, è già osteggiato da più parti, tra cui il presidente Usa Obama, che cercheranno in ogni modo un’alternativa). Tuttavia, lo scossone sulla stabilità finanziaria dei Paesi europei dopo il referendum è stato grande, e con esso l’impatto negativo sul mondo bancario. Il quale, manco a dirlo, potrebbe in futuro ritoccare al rialzo i margini su mutui e prestiti per rifarsi delle perdite subite.
Cosa sta succedendo? La Grecia ha un debito di oltre 320 miliardi di euro, di cui circa il 25% è rappresentato da titoli di Stato, detenuti dai vari Paesi europei. Il credito dell’Italia verso la Grecia ammonta a più di 60 miliardi, di cui parte in titoli di Stato, parte sotto forma di versamenti fatti dal nostro Paese ai vari fondi salva Stati europei. Tenendo conto che i titoli di Stato greci subiscono una forte svalutazione, che già dal 2012 è stato stabilito che la Grecia rifondesse i propri debiti ad un tasso del 3% (il cosiddetto haircut), e che un possibile ritorno alla dracma assesterebbe un altro colpo al valore di crediti degli Stati europei nei confronti di Atene, si capisce come di questi 60 miliardi alla fine resterà molto poco nelle casse delle banche italiane.
Va poi aggiunto il fatto che, essendo l’Italia considerata uno dei Paesi a rischio (checché ne dicano i nostri governi), lo spread Btp-Bund già subisce un consistente rialzo, in scia alla svalutazione dei titoli di Stato greci. Rialzo che potrà solo aggravarsi in caso di uscita della Grecia dall’Euro. Il che va ad influire sui tassi ai quali le banche ottengono prestiti, che aumentano all’aumentare dello spread; anche questa perdita, quindi, andrà ripianata.
Non solo: ma se i titoli di Stato italiani si deprezzassero, arrivando, come segnalano alcuni analisti, ad avere rendimenti del 2% superiori a quelli attuali, il costo per il nostro Paese (e quindi per le banche che detengono i titoli di Stato) potrebbe essere di circa 5 miliardi l’anno. Altra falla che le banche cercheranno di riempire, rivalendosi, probabilmente, sui margini applicati a mutui e prestiti.
Nel caso dei mutui a tasso variabile, probabilmente l’aumento dei tassi si vedrà sullo spread bancario, proprio per i motivi esposti sopra (le banche, cioè, dovranno aumentare i propri margini di guadagno per rientrare delle perdite subite). Non ci dovrebbero invece essere conseguenze sul tasso Euribor e sul tasso Bce, che al momento sono ai minimi storici, se non negativi, e hanno poca probabilità di risalire.
Per quanto riguarda i mutui a tasso fisso (evidentemente, quelli ancora da stipulare), il discorso è simile: il tasso Eurirs al quale tali mutui sono agganciati probabilmente scenderà, dato che dipende dal rendimento dei Bund tedeschi i quali, secondo un’analisi del Sole 24 Ore, potrebbero diventare un bene rifugio contro le turbolenze degli altri titoli di Stato. Ma l’aumento degli spread bancari potrebbe neutralizzare questo ribasso, rendendo anche i mutui a tasso fisso più cari che in passato.
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