I mutui più cari d'Europa
25 feb 2013 | 3 min di lettura | Pubblicato da Redazione M.
Una famiglia italiana alle prese con un mutuo da 100mila euro da restituire in 30 anni è costretta a sborsare una rata mensile di 69 euro più alta rispetto a quella che si paga nel resto d’Europa. La denuncia, ampiamente documentata, arriva da Adusbef e Federconsumatori.
Le associazioni dei consumatori hanno rielaborato i dati diffusi all’inizio del mese dalla Banca centrale europea e dalla Banca d’Italia, e aggiornati a dicembre 2012, scoprendo che nonostante l’impercettibile diminuzione del differenziale di tasso sui mutui tra il BelPaese e l’Unione Europea - passato da +124 punti base di luglio 2012 a +119 punti base di dicembre 2012 - le banche italiane impongono i prestiti per la casa più alti.
In particolare, si tratta di 828 euro in più all’anno che il mutuatario italico paga rispetto a chi sottoscrive un finanziamento per il prestito della casa a Eurolandia. Somma che moltiplicata per la durata totale del mutuo, ad esempio 30 anni, porta l’esborso a 24.840 euro in più di un cittadino dell’area Euro.
Eppure, come abbiamo avuto modo di vedere durante gli ultimi mesi, le condizioni per sottoscrivere un mutuo vantaggioso ci sarebbero tutte visto che l’Euribor e l’Eurirs (rispettivamente gli indici di riferimento del mutuo a tasso variabile e fisso) sono ai minimi storici ma in lenta risalita con l’Euribor a tre mesi a quota 0,22% e l’Eurirs a 30 anni al 2,5%.
Ghiottissime percentuali che, tuttavia, devono sommarsi allo spread deciso dalle banche, vanificando così la possibilità di risparmio. Da oltre un anno, infatti, la remunerazione è altissima: mediamente per i mutui a tasso variabile, gli spread applicati vanno dal 2,7% al 4%, mentre per i fissi si va dal 3% a un massimo del 5%. Soldi alla mano, se si varca la soglia di un istituto di credito e si riesce a sottoscrivere un finanziamento si pagherà dal 3% al 4,5% per un mutuo variabile e dal 5,2% al 6,8% per un fisso.
Ma dal report fornito da Adusbef e Federconsumatori emerge anche un altro dato negativo: nel 2012 la crisi ha spinto verso l’alto il numero dei pignoramenti. Prendendo in considerazione i dati raccolti in 37 tribunali dal 30 settembre al 31 dicembre del 2011 e quelli dell’anno precedente, le associazioni dei consumatori hanno riscontrato un netto e marcato aumento dei provvedimenti. Nel dettaglio, se negli ultimi 3 mesi del 2011 i pignoramenti erano stati oltre 37 mila, l’anno scorso si è passati a quasi 49.000. Si tratta cioè di un incremento del 20%. Anche se quello che spicca è un altro elemento: a causa del pignoramento 45mila famiglie sono state costrette ad abbandonare la casa in cui vivevano, mentre circa 100mila abitazioni sono finite all’asta.
Un fenomeno, questo dei pignoramenti, entrato anche nella campagna elettorale. Sono stati numerosi gli schieramenti politici che hanno protestato contro il fisco e l’atteggiamento assunto nei confronti di migliaia di cittadini che si sono visti pignorare la casa perché in ritardo con il pagamento delle stesse rate del mutuo o perché in difficoltà sul fronte lavorativo.
L’attuale legislazione è, infatti, chiara in proposito: la casa può essere pignorata nel caso in cui si risulti moroso o si abbiano debiti fiscali. L’unica ammissione per l’impignorabilità riguarda l’ammontare del debito: se questo è inferiore a 8.000 euro non può esserci diritto di obbligazione ipotecaria, mentre nel caso in cui l’ente proceda con l’accensione dell’ipoteca tramite la trascrizione nella Conservatoria dei Registri Immobiliari, la soglia minima per la procedura sul bene del debitore (vale a dire la prima casa) è di 20.000 euro.
25 February 2013 di Patrizia De Rubertis
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