Cambiano gli affitti brevi: le proposte
Necessaria una regolamentazione
Pubblicato il 28 April 2023
Se ne parla da anni, tra norme locali e proposte nazionali. Ma ancora non si è raggiunta una quadra sulla regolamentazione degli affitti brevi. Nelle città turistiche, ma non solo, le piattaforme che permettono ai proprietari di guadagnare da stanze e appartamenti sono all'incrocio di due esigenze contrapposte. Da una parte, sono un'occasione di business. Dall'altra, crea delle distorsioni. Quando l'affitto breve si trasforma in un lavoro, si concede agli host un vantaggio competitivo nei confronti delle strutture ricettive come gli hotel, sottoposte a maggiori oneri.
E poi c'è il tema dell'impatto sulle città. La possibilità di mettere a reddito un appartamento rende gli immobili più appetibili. Diventano, in sostanza, solo un investimento per guadagnare e non per abitare, impattando sul mercato delle compravendite e sui mutui. I prezzi, infatti, lievitano. Le città si svuotano dei propri abitanti per diventare simili ad alberghi diffusi, pieni di negozi, ristoranti e appartamenti in affitto ma senza cittadini.
Tutti - governo, sindaci e le stesse piattaforme online - sono concordi nel riconoscere la necessità di un intervento. Cambiano però, non di poco, le soluzioni avanzate. Devono essere modulate in modo attento, per ammortizzare le distorsioni senza penalizzare il turismo o le famiglie che utilizzano effettivamente il proprio appartamento solo per avere un'entrata supplementare. Queste, a oggi, sono le proposte.
Il governo
Il governo ha aperto un tavolo per esaminare i possibili correttivi. La ministra del Turismo Daniela Santanché si è detta favorevole all'introduzione di una legge nazionale, per limitare un vuoto normativo definito “da far west”. Serve però, ha sottolineato, “riflettere bene sulle specificità della nostra nazione, perché penso ad esempio ai piccoli borghi. In Italia sono oltre 5.600 e lì di strutture alberghiere non ce ne sono, quindi sono importanti gli affitti brevi”.
Va inoltre salvaguardato “chi affitta una stanza della propria casa o ha avuto un appartamento in eredità e magari lo fa per arrotondare e arrivare a fine mese”. Mentre va penalizzato chi degli affitti brevi “fa una professione”.
I sindaci
Venezia è una città-test. Lo scorso anno, grazie a una norma specifica del governo, ha potuto varare alcuni limiti sul territorio comunale, con un tetto di 120 giorni di affitto l'anno. I sindaci però chiedono una norma nazionale. L'idea è quella di permettere procedure snelle entro i 90 giorni di affitto l'anno. Superata questa soglia, gli host devono ricevere una licenza, della durata di cinque anni. Spetterà al comune dare il nullaosta, facendo una valutazione legata soprattutto alle zone delle città.
L'obiettivo è chiaro: provare a limitare o distribuire gli appartamenti in affitto, che oggi si concentrano nelle aree più turistiche.
Confedilizia ed AirBnB
Confedilizia è invece più cauta. Eviterebbe un tetto ai giorni di affitto, chiede di abrogare “l'eccezione Venezia” e di limitare l'intervento a una registrazione degli host. In sostanza, un'applicazione di una norma già esistente (dal 2019) ma mai operativa.
La linea di Confedilizia è molto simile a quella di AirBnB. La piattaforma, ormai da tempo, ha riconosciuto il problema delle distorsioni. E, lo scorso dicembre, ha avanzato le proprie proposte: registrazione nazionale obbligatoria, con un codice identificativo per ciascun host; condivisione dei dati; tutela dei piccoli proprietari per i quali l'affitto breve non è il reddito principale; mappatura di alcune aree dove il problema è particolarmente sentito, per intervenire con eventuali misure aggiuntive.
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Il profilo dell'autore
Paolo Fiore Giornalista professionista e leccese in trasferta: Bologna, Roma, New York, Milano. Dopo la Scuola di giornalismo Walter Tobagi, ha scritto per Affaritaliani, MF-Milano Finanza, l'Espresso, Startupitalia e Skytg24.it. Si occupa di economia e innovazione per Agi, FocuSicilia e collabora con il gruppo Rcs.
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