Crisi greca e mutui
Grecia fuori. Grecia dentro. Questo il dilemma che da settimane attanaglia l’economia del Vecchio Continente tra smentite e ipotesi dei leader europei che, nonostante il caos che scuote i mercati, continuano a rassicurare sulla permanenza dello Stato ellenico nell’euro.
In queste ore la tesi più accreditata cita la preparazione di un piano d’emergenza individuale che i 17 Paesi della moneta unica dovranno attuare nell’eventualità della “Grexit”, vale a dire l’abbandono dell’euro da parte della Grecia. Intanto la crisi brucia miliardi di euro tra le perdite che si registrano quotidianamente sulle piazze finanziarie e il panico da corsa allo sportello bancario per ritirare i propri depositi come accaduto ad Atene o in Spagna.
Ma un altro elemento è sotto gli occhi di tutti. La politica europea è schiacciata tra due scuole di pensiero: chi pensa che Eurolandia sia in grado di sopportare la Grexit e chi spiega che questa ipotesi non creerebbe solamente un problema finanziario ma rappresenterebbe anche una minaccia di contagio per tutti gli altri Paesi dell’Unione.
In che modo? Se salta un Paese è un problema per tutti. E bastano un po’ di numeri per capirlo. Secondo Citigroup l’addio della Grecia dal blocco della moneta unica e il ritorno alla dracma porterà a un’esposizione di 410 miliardi di euro tra gli aiuti della Banca centrale europea, l’Unione Europea, il Fondo monetario internazionale e l’European Financial Stability Facility. Mentre la dracma potrebbe subire una svalutazione tra il 40% e il 50%. Insomma, un effetto domino visto che nel Trattato di Lisbona (che ha dato vita all’Ue) è scritto chiaramente cosa fare per entrare nell’Unione, ma non si spiega e non è accettabile che qualcuno ne possa uscire.
Una situazione decisamente peggiore di quella vissuta in Argentina dieci anni fa, perché andrebbero sommati anche i costi da sostenere per rifinanziare il debito di Irlanda, Portogallo, Spagna e Italia, cioè i Paesi che pagherebbero di più l’eventuale aumento dell’inflazione, del costo del denaro e dei tassi di interesse. Inoltre, secondo l’agenzia di rating Fitch con il ritorno alla dracma mezza Europea rischierebbe il declassamento.
Ma questo scenario già drammatico di alta finanzia si completa analizzando anche le conseguenze che si determinerebbero per la vita di tutti i giorni, passando per il settore creditizio dei mutui. Sottolineando che si sta sempre ragionando su di un ipotetico addio di Atene.
Partiamo dagli aspiranti mutuatari. Per loro si farebbe sempre più difficile ottenere un prestito. Gli effetti sulle banche e sulla capacità di concedere finanziamenti per la casa, infatti, ne risentirebbero parecchio visto che si instaurerebbe un ulteriore rallentamento delle erogazioni come se non bastasse che, secondo Crif, il credit crunch in questi primi mesi del nuovo anno ha già fatto registrare una contrazione del 46% della domanda di mutui.
E non va meglio se si analizza il fronte dei tassi. L’eventuale uscita della Grecia farebbe schizzare i tassi di interesse e i titoli di Stato che a loro volta spingerebbe verso l’alto sia l’Euribor (attualmente ai minimi storici con l’indice trimestrale sotto lo 0,7%) che lo spread (cioè il guadagno che le banche applicano sui mutui) con l’eventuale aggravio sul costo dei nuovi mutui sia fissi che variabili.
Un po’ quello che è successo nel 1992 quando l’Italia uscì dallo Sme (il Sistema monetario europeo, cioè l’antenato dell’Ue basato sugli scambi). Con la lira che perdeva il 30%, i Bot oltre il 17% e l’inflazione alle stelle, i titolari di un mutuo in Ecu (vale a dire il paniere formato da tutte le monete che partecipavano all’unione) si ritrovarono in grossissime difficoltà a pagare le rate del mutuo dato che i tassi erano arrivati al 10%.
Capitolo a parte, invece, per chi è già alle prese con la restituzione delle rate del mutuo. In uno scenario tutto ipotetico di Grexit, si può pensare che i mutuatari ellenici pagherebbero un conto salatissimo, impossibile da onorare visto che andrebbe ad assorbire l’intero stipendio. La svalutazione della moneta di un 25% sommata all’aumento del tasso d’interesse sarebbe, infatti, nettamente superiore allo stipendio percepito visto che perderebbe un quarto del proprio valore. Inoltre nei mutui a tasso variabile, con il ritorno alla dracma, non si utilizzerebbe più l’Euribor ma ci sarebbe un tasso locale.
Ma questo scenario, come detto, è pura congettura. La realtà è che la politica sta valutando tutte le soluzioni per evitare che la Grecia possa uscire dall’euro, mentre le banche studieranno iniziative ad hoc per non essere travolte da una nuova crisi. È nell’interesse di tutti.
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